Paolo Borsellino e la sua scorta, 32 anni fa la strage di via D’Amelio
32 anni dopo la strage di Via D’Amelio, la memoria di Paolo Borsellino e dei suoi agenti scorta vive più che mai. Ancora oggi, a distanza di trentadue anni, la ferita dell’attentato di Via D’Amelio non si è ancora rimarginata.
Il 19 luglio 1992, poco prima delle 17, una forte esplosione scuote via D’Amelio a Palermo. A saltare in aria é un’autobomba, una Fiat 126 rubata, caricata d’esplosivo e piazzata in prossimitá del civico 21, davanti all’abitazione di Maria Pia Lepanto, madre di Paolo Borsellino, e della sorella del magistrato, Rita.
È domenica e il giudice, accompagnato dalla sua scorta, si reca in visita dalla madre. Proprio mentre Borsellino si trova davanti al portone d’ingresso, viene azionato il telecomando che fa esplodere l’auto.
La via si trasforma subito in un inferno: un forte boato risuona in cittá, tremano gli edifici, i vetri vanno in frantumi, c’é distruzione ovunque. Muoiono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, che diventa la prima donna della Polizia a morire in una strage di mafia.
Tra gli agenti della scorta presenti, sopravvive solo Antonino Vullo. Soltanto 57 giorni prima, il 23 maggio del 1992, in un altro attentato erano stati uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e magistrato Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Quel giorno, poco prima dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, un’esplosione aveva colpito in pieno il corteo di auto sulle quali viaggiavano e che si dirigeva lungo il tratto dell’autostrada A29 dall’aeroporto di Punta Raisi verso Palermo.
Sono trascorsi meno di due mesi tra le due stragi nelle quali hanno perso la vita due magistrati tra i piú attivi nella lotta alla mafia. In quei cinquantasette giorni, dopo aver vissuto la morte del collega e amico, Borsellino immaginava il suo destino, capiva di essere un obiettivo di Cosa Nostra.
Tuttavia, il magistrato continuava il suo lavoro con coraggio. “È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante é che sia accompagnata dal coraggio”, diceva. “Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura – aggiungeva -, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.
Simboli della lotta alla criminalitá organizzata, con il pool antimafia i magistrati hanno creato un nuovo metodo investigativo, riuscendo a riconoscere la struttura verticistica di Cosa Nostra per la quale hanno istruito il maxiprocesso. La mafia negli anni aveva ucciso magistrati, investigatori, politici, giornalisti, soffocava la societá e l’economia.
Quel processo di cosí vaste dimensioni, partito nel 1986, era la risposta dello Stato. Poi, peró, sono arrivate le stragi del 1992 e la storia del Paese é rimasta segnata per sempre.
La memoria di quanto accaduto resta comunque viva e ogni anno a Palermo e in tutta Italia le stragi vengono ricordate con cerimonie, manifestazioni e cortei. Sacrificio atroce di eroi della quotidianità che hanno segnato per sempre la storia d’Italia e la coscienza di tutti gli Italiani.